Le password efficaci si allungano: cosa consiglia davvero chi lavora nella sicurezza informatica

Password

Stefano Orlandi

Novembre 5, 2025

Una persona al bancomat che si blocca davanti al campo “inserisci password”. Un impiegato che si ferma un attimo, prova tre combinazioni e alla fine sceglie la più semplice. Sono scene comuni nelle aziende e nelle città: la sfida non è più inventare un codice impossibile, ma ricordarne uno sicuro. Fulvio Duse, coo di Aton IT, lo spiega così: la posta in gioco è la gestione quotidiana delle credenziali, non un colpo di genio tecnico. Serve pragmatismo e scelte che funzionino nella vita reale.

La regola che conta: lunghezza prima della complessità

Negli ultimi anni le linee guida sulla sicurezza delle credenziali sono cambiate: gli esperti enfatizzano la lunghezza più della complicazione formale. In pratica, una parola d’ordine con almeno 8 caratteri è il minimo riconosciuto, ma per una protezione reale si consiglia una lunghezza nell’ordine dei 12-15 caratteri o più. Questo perché una sequenza estesa resiste molto meglio agli attacchi automatizzati rispetto a una stringa breve che alterna simboli e numeri.

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La regola fondamentale resta l’unicità: ogni servizio deve avere una password diversa. – integris.it

Il motivo per cui molte organizzazioni hanno abbandonato i vincoli rigidi (obbligo di maiuscole, numeri e simboli) è concreto: quegli obblighi spingono gli utenti a soluzioni prevedibili, come mettere la prima lettera maiuscola o aggiungere “1” alla fine. Ciò rende le password più facili da indovinare per chi sfrutta pattern umani. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la memoria umana trattiene meglio combinazioni con senso per la persona — ma questo senso non deve essere collegato a dati pubblici o facilmente reperibili.

Per questo motivo oggi si suggerisce l’uso di passphrase: stringhe basate su parole casuali, lunghe ma memorizzabili, che riducono il ricorso a schemi prevedibili. Anche in molte aziende italiane si sta valutando l’adozione di questi approcci, e i tecnici del settore lo raccontano come un equilibrio tra sicurezza e usabilità. Intanto, le verifiche contro i database di password compromesse rimangono un passaggio imprescindibile prima di accettare una credenziale nuova.

Quando cambiare e quali strumenti usare

Un cambio periodico obbligatorio di password non è più considerato efficace: forzare l’utente a modifiche ogni pochi mesi spesso porta a scelta di combinazioni più deboli o a piccoli step prevedibili. La raccomandazione attuale è chiara: modificare le credenziali solo in presenza di un sospetto reale di compromissione. Questo approccio riduce l’usura mentale dell’utente e mantiene al contempo un livello di protezione più alto, perché si evita il ricorso a schemi ripetitivi.

La regola fondamentale resta l’unicità: ogni servizio deve avere una password diversa. Un account violato non deve aprire la porta ad altri servizi. Per gestire questa complessità, gli esperti raccomandano l’uso dell’autenticazione a più fattori come secondo livello di difesa: aggiunge un elemento esterno alla sola password e limita notevolmente i danni di una singola fuga di credenziali. Un fenomeno che in molti notano solo nella vita quotidiana è la maggiore diffusione di app di verifica e chiavi hardware nelle realtà professionali.

Infine, per non appesantire la memoria individuale, è utile adottare un password manager affidabile: conserva passphrase lunghe e uniche, le inserisce automaticamente e semplifica i controlli periodici contro elenchi compromessi. In molte realtà in Italia e nel Nord Europa, questa combinazione — passphrase, autenticazione aggiuntiva e manager — è diventata la pratica raccomandata dai reparti IT. Il risultato è concreto: meno blocchi al bancomat, meno reset d’emergenza, e una protezione distribuita che tiene conto dei comportamenti reali degli utenti.